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Rossomanno Grottascura Bellia - La storia

L'aspetto più vistoso della zona dei Boschi di Rossomanno, Grottascura e Bellia e della zona Erea posta tra i centri di Enna, Valguarnera, Aidone, Piazza Armerina e Barrafranca, è quello della grande stratificazione storica degli insediamenti umani nell'area.
In particolare all'interno della Riserva compaiono i resti di un abitato che nel medioevo e sino al momento della sua cruenta distruzione e del suo quasi totale abbandono, veniva chiamato Rossomanno o Rossimanno, successivamente infeudato all'Universitas ennese e da allora possedimento del Comune di Enna.

I resti visibili nella zona sommitale di una serie di alture poste tra i seicento e gli ottocento metri di altezza ed oggi quasi interamente circondato o addirittura ricoperte dal bosco di Pino, appartengono ad età comprese tra il VII secolo a.C. (protostoria siciliana) ed il XIV secolo, momento in cui avvenne la distruzione del paese medioevale, con una piccola prosecuzione dell'insediamento in località Conventazzo, ove, tra i ruderi, si insediò un romitorio (eremitaggio).

I resti, conosciuti e descritti già dal Tommaso Fazzello, nella sua opera sulla Sicilia antica (1560), testimoniano intanto la presenza di un centro anonimo, indigeno attestatosi sulle alture di Cozzo Primavera, Serra delle Casazze, Rocca Crovacchio e Rossomanno, abitato da genti abituate a seppellire i propri defunti sia con inumazioni ad "enchitrismos", diffuse tra le popolazioni indigene siciliane, sia in "campi di Crani", molto più rari in Sicilia, con una frammistione interessante anche dal punto di vista percentuale tra l'uno inumatorio e l'uso incineratorio.

Nella necropoli già in parte indagata di Rocca Crovacchio, che domina dall'alto il paese di Valguarnera Caropepe, si sono infatti ritrovati i resti delle diverse tipologie funerarie corrispondenti ad età poste tra il VII ed il IV secolo a.C.. Questi resti, oltre che descrivere alcuni aspetti della tipologia funeraria e quindi di una complessa ritualità funeraria e cultuale delle popolazioni attestate nella area, descrivono anche il lento processo di contatto, penetrazione ed ellenizzazione delle stesse popolazioni che poco a poco si inserirono nel quadro della Sicilia greca.

Uno dei resti più interessanti tra quelli pertinenti a queste età è quello della fortificazione di una acropoli posta sulla parte sommitale di Serra Casazze, l'altura centrale del sistema, dalla cui cima si può controllare tutta l'area e gran parte della Sicilia centrale dall'Etna alle Madonie.
Ivi le genti dell'antica città costruirono un imponente sistema di fortificazioni che cingono la cima della collina con un muro spesso oltre i due metri, in pietrame calcarenitico locale ben lavorato e messo in opera con una muratura a paramenti esterni pseudo isodomi ed una fartura in pietrame informe e fango.

Le mura sono inoltre munite di torrette sporgenti, utili al tiro, alla base delle stesse mura ed al controllo dei camminamenti di ronda che dovevano correre sulla parte alta della struttura oggi irrimediabilmente persa. Le mura erano inoltre aperte verso l'esterno da alcune postierle facilmente controllabili e strategicamente poste nelle parti più utili ad eventuali sortite verso gli aggressori.
In questa parte delle alture i resti, purtroppo sconvolti dai frequenti scavi dei clandestini, occhieggiano dappertutto infondendo nell'animo del visitatore quell’aura di mistero e di timore che maggiormente affascina nella visita di vestigia abbandonate dai nostri progenitori.
Nel periodo romano tutta la zona sembra essere interessata da un declino della permanenza diffuso in effetti tra tutti i centri della Sicilia interna e quasi certamente legato all'effetto centripeto che le città dovettero esercitare verso le genti che sino ad allora per le difficoltà e le eterne belligeranze della Sicilia greca avevano preferito occupare le aree più marginali e più facilmente difendibili della Sicilia.

In ogni caso con la età bizantina i siciliani iniziano a ripopolare quasi tutti gli antichi siti abitativi e certamente le alture di Rossomanno dovettero essere interessate da un flusso migratorio di ritorno collocabile nell'alto medioevo così come è testimoniato dalla frequenza di resti ceramici attinenti quelle età e dalla presenza di una bella chiesetta a pianta basilicale, oggi scavata e conservata nelle fondamenta e nei filari più bassi, posta nella parte occidentale del complesso delle colline.
In periodo svevo la zona veniva già chiamata con il moderno toponimo di Rossomanno e venne infeudata alla famiglia degli Uberti, di origine toscana ed imparentata con il Farinata ricordato nella Divina Commedia.

Questa famiglia, che risiedeva nella vicina Enna, allora detta Castrum Johannis o Castrijanni, passata indenne all'epoca del Vespro e a tutta la serie di sommovimenti bellici della prima età aragonese, si legò alla fazione chiaramontana durante il tentativo della famiglia Chiaromonte di raggiungere l'egemonia e la Corona del Regnum Siciliae così da meritare con lo stesso Chiaromonte, Conte di Modica, le ire del sovrano di diritto, Martino IV, interessato a fare della Sicilia una ricca colonia della sua Aragona.
Durante una spedizione armata le truppe del sovrano attaccarono i feudi dei nobili ribelli e li distrussero deportandone i superstiti abitanti verso le due città demaniali più vicine, così Rossomanno, allora di Scaloro degli Uberti, venne rasa al suolo insieme a Fundrò, Gatta e Polino ed i suoi abitanti vennero deportati verso i quartieri più bassi di Enna ed in particolare verso la "Fontana grande" ed il "Pisciotto", mentre gli abitanti di Fundrò andarono ad occupare l'area compresa tra Janniscuro e la zona di San Tommaso ad Enna, da allora detta appunto dei "Fundrisi" cioè degli abitanti di Fundrò.

Questi quartieri, una volta divisi dal resto della città addirittura da mura e sottoposti a diversi diritti, rimangono ancora oggi differenziati soprattutto dall'uso di un diverso dialetto detto Funnurisanu e parlato in particolare nel quartiere dei Fundrisi.
Di quelle età sopravvive ancora fuori terra il basamento di un torrione in calcarenite posto sulla cima maggiore del Monte Rossomanno e detto appunto “Torre degli Uberti”, di esso rimane la parte basamentale con un frammento del pavimento ed il resto di alcune murature accessorie esterne.

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